Acque reflue non trattate dalla Sicilia a Courmayeur (Valle d’Aosta). Per questo l’Italia dovrà pagare una somma forfettaria di 10 milioni di euro. Questa la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea perché il nostro Paese non ha rispettato la direttiva « Waste water treatment directive » del 21 maggio 1991. Un ritardo di oltre trent’anni e nonostante la precedente condanna del 2014 che aggiornava il ritardo di Roma in 41 agglomerati urbani. Ma la Commissione europea non poteva accettare ulteriori lungaggini e per questo ha promosso un nuovo ricorso. L’Italia dovrà fare presto perché a ogni semestre di ritardo scatterà una penale di 13.687.500 euro.
La direttiva del 1991
La direttiva mira a proteggere la salute umana e l’ambiente imponendo la raccolta e il trattamento delle acque reflue urbane prima dello scarico in natura. Gli Stati membri dovevano dotare ogni agglomerato urbano di reti fognarie per il trattamento delle acque reflue. Erano stabilite due scadenze: entro il 31 dicembre 2000 per quelli con un numero di abitanti equivalenti e superiori a 15mila; entro il 31 dicembre 2005 per quelli tra 2mila e 15mila.
Il ritardo
Nell’aprile 2014, la Corte di giustizia con una sentenza aveva ritenuto che l’Italia non avesse attuato la direttiva su tutto il territorio nazionale, in quanto le acque reflue urbane non erano né raccolte né trattate correttamente in 41 agglomerati urbani. La Commissione europea aveva quindi presentato un ricorso per inadempimento finalizzato all’imposizione di sanzioni pecuniarie. L’Italia alla scadenza del termine fissato nella lettera di messa in mora (18 maggio 2018) era ancora in ritardo su cinque agglomerati: Castellammare del Golfo I, Cinisi, Terrasini, Trappeto (Sicilia) e Courmayeur. Alla data dell’udienza davanti alla Corte (13 novembre 2024) il ritardo si era ridotto a quattro enti. Ma i giudici lussemburghesi hanno deciso comunque di condannare l’Italia per tutte le lungaggini accumulate nell’applicazione della direttiva.